Marco Bonamini,
un angelo nell'antro di Vulcano

“Tutto ciò che merita di essere fatto, merita di essere fatto bene!”
(Ph. Stanhope Conte di Chesterfield)

Raggiungo la Val d’Illasi di primo mattino. Provengo dalla città che a quell’ora è ancora stranamente tutta immersa in una coltre caliginosa di nebbia e umidità. All’imboccatura della valle il paesaggio si trasforma come se un dito gigantesco avesse girato all’improvviso la pagina di uno sconfinato libro fotografico. “E’ forse più bella della Valpolicella…” mi sorprendo a pensare ma subito mi accorgo che misurare la bellezza di un paesaggio meraviglioso rispetto ad un altro è un’operazione davvero schiocca se non addirittura bizzarra.

All’inizio di Cogollo, una frazione di Tregnago, trovo facilmente l’insegna – in ferro battuto manco a dirlo – della bottega di questo rinomato “maestro del ferro”.

Marco mi accoglie calorosamente nella sua officina che in latino ha proprio il significato di fucina…

Dalla stretta di mano capisco che il lavoro – quello vero, quello fatto di poche parole e di tanta passione – è per lui pane quotidiano.

E’ una persona loquace Marco e gli appunti presi a mano sul taccuino si infittiscono velocemente.

Mi racconta di suo padre Mario e della sua “gavetta” nel laboratorio del grande Berto da Cogollo il più grande maestro del settore, il “capostipite” in questa vallata non solo di una professione ma addirittura di una vera e propria arte… Quella del battere il ferro per renderlo appunto “artistico”…

Mario ha un’intuizione geniale… Raccogliere quello che Berto – chissà per quale motivo – aveva deciso di lasciare indietro: le commissioni provenienti dalle chiese e dagli istituti religiosi.

Nascono così nell’officina di Mario e Marco degli “alberi” straordinari: viti cariche di grappoli, foglie e tralci, olivi dal tronco contorto, battuto e piegato, querce possenti che sfidano i giorni…

“Questo olivo di ferro battuto…” mi racconta aprendo un libro pieno di fotografie “E’ arrivato fino a Gerusalemme e ora si trova nel Cenacolo… Si il Cenacolo dell’Ultima Cena di Gesù!”.

Ma sono dei Bonamini molte altre opere che si trovano all’estero o in tante città italiane così come è dei Bonamini il bel San Martino che esce dal castello che si trova all’inizio di Tregnago a ingentilire un rondeaux stradale che rischiava di risultare perlomeno anonimo.

Sono attratto, e glielo dico, dal suo laboratorio o meglio ancora dalla sua fucina…

Nell’officina tutto sa di lavoro. I martelli sono un po’ ovunque; a me sembrano tutti pesanti o pesantissimi addirittura ma Marco mi fa notare che rispetto alle mazze hanno il peso di un ragazzino rispetto a un adulto. Mi “presenta” il re e la regina della sua opera: il maglio e l’incudine.

Il maglio mi richiama subito alla mente l’energia battente che modella la vita mentre l’incudine la resistenza alle avversità e alle traversie… “Il successo non è mai definitivo” diceva Winston Churchill “Il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta”.

Ma tra tutti i vari attrezzi “del mestiere di Vulcano” mi appassiono alla descrizione che Marco fa della forgia! Della sua forgia che a forza di essere surriscaldata e colpita si è infine spezzata!

Forgiare… Si forgiano le spade per la guerra e le falci per la mietitura; si forgiano gli anelli, le catene, i ferri dei cavalli, le armi degli eroi, i caratteri delle persone, i metalli fusi nel ventre profondo della terra… Da quale distanza siderale arriva questo verbo straordinario?

Marco mi illustra le varie fasi dell’opera che prende spunto – curiosamente – prima di tutto da un’idea, poi da uno schizzo fatto a matita sulla carta velina per poi approdare a un modellino in scala uno a uno che porta con sé già tutta la speranza ma anche la preoccupazione per la resa definitiva dell’opera.

Marco mi dice “Che per essere un vero artista in questo campo servono tre cose: testa per pensare l’idea, mani per realizzarla e cuore per trasmettere emozioni attraverso la materia… Questo è quello che fa di un artigiano un vero artista!”.

“E’ un lavoro pesante?” gli chiedo ma temo subito di avere detto una banalità…

“No, no…” subito mi risponde Marco “Non è un lavoro pesante… Lo può sembrare in apparenza ma in realtà è soltanto questione di tanta, tanta… Precisione!”. “Precisione?” lo incalzo provando ad alzare uno scuro martellaccio posato sull’incudine. “Si precisione perchè ciò che modella e che da forma, per esempio al ferro incandescente dal quale dovrà uscire una foglia di vite accartocciata, non è la forza ma la precisione che fa battere il martello nel punto giusto… Al momento giusto!”.

“Punto giusto al momento giusto… Con la forza rischi solo di rovinare irrimediabilmente tutto quanto il tuo lavoro…”. “Bella questa cosa…” lo contraddico bonariamente “Ma almeno sarai d’accordo con me che se questo non è un lavoro di forza é di certo un lavoro di grande pazienza!”.

“Si è vero, questo è vero… Pazienza, tanta e tanta pazienza! Non serve fretta e non serve cercare di arrivare in fondo prima possibile all’opera che stai creando… Pazienza, tanta e tanta pazienza!”.

E mi mostra una delle tremila e cinquecento foglie di ulivo battute a mano una per una…

Marco non si stancherebbe mai di raccontare innamorato com’è del suo lavoro e della sua terra.

“Cogollo e Cellore…” riprende a dire “Erano contrade famose nel Veronese per la costruzione dei carretti – senti come canta il carretto di Cogollo dicevano i Vecchi – ed erano tutti a fare gara tra bravi fabbri e bravi falegnami… Poi sono arrivati i pneumatici e così i falegnami sono scomparsi e i ferraioli hanno iniziato a lavorare il ferro battuto in maniera artistica… Morto un Papa se ne fa un altro! Pazienza!”.

Finiamo con il parlare dei segreti del mestiere, dei materiali tutti naturali che si usano per realizzare le opere a partire dal carbone coke fino alla calamina per non parlare poi dei levigatissimi “sassi de progno” raccolti sui greti dei torrenti e che fanno da basamento alle opere artistiche.

Prima di lasciare l’officina mi intrattengo su una ventina di pezzi dalla forma strana… Uncini? Lance? Ganci? Marco non si fa pregare… “Questi sono dei bilancieri che aprono e chiudono le ance di un organo a canne che si trova in una chiesa in Francia… Il mastro organaro li vuole fatti a mano uno a uno perchè dice che quelli stampati a macchina non sono come questi e l’organo non suona come dice lui…

Ci mancava solo che nell’antro di Vulcano risuonasse la musica degli Angeli…

Italo Martinelli

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